Ci sono momenti in cui è utile per tutti tornare ai fondamentali come si dice.
Non li dimentichiamo mai, certo, ma è come se farlo ci aiutasse a tenere viva la motivazione. In questo momento dunque, in cui stiamo per partire con la IV edizione del corso per operatori in carcere, mi fa piacere ricondurci ad alcuni aspetti identitari.
Spesso, quando ci presentiamo a un nuovo interlocutore, ci definiamo come un’Associazione che porta percorsi di consapevolezza in carcere ispirandosi alla filosofia buddhista, offrendo una proposta laica.
Crediamo poi che i preziosi insegnamenti a cui ci ispiriamo siano un raffinato veicolo di comprensione della mente e del cuore per ogni essere umano. Grazie a questi è possibile giungere alla piena realizzazione del proprio potenziale, della sua totalità. Questo processo presuppone naturalmente una comprensione completa di ciò che è questa totalità umana.
Qualcuno potrebbe domandarsi come sia possibile che pratiche di oltre 2500 anni fa si adattino alla vita di oggi e ad esempio all’Occidente. Le condizioni sono straordinariamente diverse da quelle che viveva il Buddha in Oriente qualche millennio fa.
La risposta è molto semplice: sono insegnamenti che vanno così oltre le circostanze del quotidiano, hanno così profondamente a che fare con l’interiorità dell’essere umano che, appunto, risultano sempre validi. Un uomo della Palestina ai tempi di Gesù, un individuo del Medioevo così come una donna del XXI secolo, intimamente desiderano solo essere felici e stare lontani dalla sofferenza.
Questa considerazione che può apparire ovvia, addirittura banale nella sua semplicità, è invece di complessa applicazione. Negli insegnamenti buddhisti si trovano strumenti, proposte, occasioni per osservarsi intimamente, esplorarsi nel profondo per poter stare bene con sé stessi, con la propria natura. Questo poi può aprire le porte al dispiegarsi del proprio maggiore potenziale, della realizzazione di sé.
Il Buddha ha sempre chiesto di non credere per fede a un suo insegnamento ma di metterlo alla prova dei fatti e di considerarlo strumento valido solo ritenendolo utile.
Io trovo molto buon senso in tutto questo. E insieme ci trovo saggezza, possibilità e anche uno spazio laico di azione.
Quando un operatore in carcere, per le sue possibilità, ma sempre con cuore autentico, si siede in cerchio con gli altri del gruppo è radicato in tutto ciò.
Sa che è possibile proporre uno spunto, rifletterci, costruirlo insieme, sentendosi di offrire strumenti utili per tutti a esplorare il proprio cuore, la propria mente e a rapportarsi alle esperienze che la vita in quel momento propone.
Quindi il nostro primo passo in carcere è proprio aiutare le persone a rendere il loro quotidiano più vivibile. Il lento radicamento del lavoro di consapevolezza poi potrà espandersi, a volte accade, a volte no. Per alcuni quel desiderio di esplorazione di sé proseguirà, un giorno dopo l’altro, approfondendo la sintonia con sé stessi e lasciando aprire le porte alla realizzazione del pieno potenziale: lo stare bene nel bene.
Lo dice spesso il Dalai Lama: soprattutto nei Paesi Occidentali non è sempre necessario parlare di buddhismo per proporre certe pratiche.
Anche Lama Thubten Yeshe, parlando di Universal Education e di approccio laico diceva (*):
“Il più alto potenziale di un essere umano è costituito da una grande gentilezza e sensibilità verso gli altri e nella saggezza e comprensione dei processi naturali e interdipendenti dell’universo (…).
Il buddhismo ha sicuramente al suo interno questa qualità educativa universale, ma dobbiamo cambiare i nostri vestiti, eliminare la terminologia buddhista. Non utilizzare parole religiose (…). Dovremmo sviluppare una sorta di spiegazione neutrale (…).
Le persone proiettano in un certo modo perché hanno una connotazione ristretta delle cose; etichettano le cose in un modo molto ristretto. Dobbiamo sbarazzarci dei vecchi concetti e dare alle persone una nuova immaginazione; un modo nuovo e ampio per guardare sé stessi e il mondo. Questo è ciò che intendo per “universale” (…).
Dobbiamo prendere questi insegnamenti e modellarli in modo tale che il loro linguaggio sia comprensibile alle persone di tutto il mondo. Questo è importante. Questo è il modo in cui possiamo contribuire”.
E infine mi piace concludere con le parole dell’amato Lama Zopa Rinpoce:
“L’Educazione Universale è educare alla responsabilità universale con un buon cuore”.
(*) Fonte originale