Di seguito le testimonianze di Elena De Marco che tiene uno dei due gruppi attivi a Monza e di Alessandra Venturin, operatrice LPP che inizierà a breve a Piacenza e che ha partecipato all’incontro con Ajahn Mahāpañño a Monza.
Elena
Raccolgo con piacere le sensazioni e gli appunti presi nell’incontro con Ajahn Mahāpañño lo scorso 9 ottobre.
Mi colpisce subito il suo sorriso accogliente e la sua totale apertura e semplicità che fanno si’ che sia come incontrare un amico già conosciuto.
E in questa stessa semplicità e apertura rimane seduto a gambe incrociate sulla sua sedia a rotelle davanti alle persone detenute che mano a mano entrano nella sala con a fianco amici, agenti. I compagni di viaggio di Ajahn Mahāpañño sono altri quattro monaci di cui tre del suo stesso monastero.
Inizia con il raccontare una storia accadutagli in adolescenza: un furto ripagato dallo stesso derubato preoccupato che tutti loro ragazzi della compagnia del paese, non perdessero fiducia nella bontà umana!
“Gli esseri umani sono brave persone -dice- e hanno la bontà nel cuore. Per accedere a questa parte è necessario liberare il cuore e coltivare pace interiore nonostante tutto, nonostante gli accadimenti della vita”.
Esorta i ragazzi a lavorare per la loro liberazione in tutti i sensi.
Spesso interrompe il suo discorso seguendo il piacere di una risata spontanea e di cuore che coinvolge tutti; invita anche a non entrare in competizione. ma a tirare fuori il meglio di sé in un’ottica evolutiva non solo di pura sopravvivenza.
Iniziano le domande che i ragazzi hanno raccolto durante l’ultimo gruppo:
– Perché si è fatto monaco? Cosa l’ha spinta?
Fa rispondere uno degli altri che racconta molto emozionato il suo sentire rispetto alla fine della vita e come la ricerca di un senso più ampio, più alto e più efficace rispetto al morire gli abbia fatto scegliere il monastero.
Ajahn Mahāpañño riprende poi la parola rispetto alla sua scelta e invita a chiedersi: “Cos’è ciò a cui tengo nella vita?”. Sottolineando che la risposta è diversa per ognuno di noi, si apre un bel dibattito spontaneo sulla scelta rispetto all’avere o meno una famiglia, dei figli. Lui spiega che il suo sentire è di aver scelto e sostenuto la libertà.
Invita tutti noi a osservare e guardare il bello della vita, vedendo come questa sia un riflesso di ciò che è dentro ciascuno di noi; guardare all’esterno chiedendosi interiormente qual è il significato.
“Bisogna fare del nostro meglio per cogliere le emozioni dentro di noi: la serenità è un risultato”.
Si arriva attraverso un’altra domanda a parlare di rabbia e l’invito rispetto a quest’emozione è osservare prima i processi mentali, osservare sia i pensieri che le parole. Essere presenti crea un’abitudine all’osservazione del mondo interiore.
“Prima di parlare respira! È bene chiedersi sempre: quest’azione è buona per me? È buona per gli altri?”
Si apre quindi una riflessione rispetto all’essere onesti, sorta da una domanda che chiedeva nello specifico se anche i monaci fumano, o se magari lo fanno di di nascosto. Per questo Ajahn Mahāpañño spiega come l’onestà di pensiero è stare nel cuore e l’onestà è legata a Metta: la gentilezza amorevole non solo per sé ma per tutti gli esseri viventi senza alcuna frontiera.
“La benevolenza annulla l’avversione. È il suo miglior antidoto.
Pratichiamo Metta con la stessa cura di una madre per un figlio ricordandoci che siamo madre e figlio insieme”.
L’incontro si è concluso con una benedizione, un canto in lingua Pali su Metta.
Mi ha colpito come la vibrazione del canto abbia ottenuto un ascolto totale, nella presenza profonda, per tutti.
Di seguito trascrivo alcuni dei commenti fatti dai ragazzi nell’incontro successivo all’ingresso di Ajahn Mahāpañño:
– Qualcuno è stato colpito dalla bontà dell’essere umano anche se lo sente immerso in una realtà lontana dalla sua ma vorrebbe approfondire.
– Un’altra persona ha riferito che era scettico rispetto all’iniziativa, ma l’incontro con lui lo ha fatto ricredere,. È stato colpito dalla possibilità che esistano persone così piene di forza di volontà e di spiritualità. Questa esperienza gli ha fatto cambiare l’idea che aveva dei monaci.
– Un altro partecipante è rimasto colpito dal fatto che al suo sentirsi inadeguato i monaci abbiano risposto: “Siamo qui con te, tutti insieme e tu sei venuto a incontrarci questa è la cosa importante”.
– Altri ancora sono rimasti sorpresi dall’atmosfera di pace creata dal canto finale.
Molti di loro hanno chiesto la possibilità di incontrarlo nuovamente, sottolineando quanto per loro siano importanti questi contatti “nutrienti” con l’esterno.
Grazie Ajahn Mahāpañño per questo incontro rigenerante per tutti noi.
Grazie alla nostra associazione che crea la possibilità reale perché questo accada.
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Alessandra
Quando ho ricevuto la mail che annunciava la visita a Bollate e a Monza di Ajahn Mahāpañño sono corsa ad aprirla per saperne di più. Dopo due anni, infatti l’idea di poter rivedere il Venerabile Mahāpañño mi riempiva letteralmente di gioia e volevo capire subito se questo mio desiderio si sarebbe potuto avverare.
Due anni fa sono stata come volontaria al Monastero Santacittarama in provincia di Rieti dove il Venerabile Mahāpañño risiede e quell’esperienza ha profondamente segnato la mia pratica e la mia crescita personale. Per chi non lo sapesse in questo monastero è possibile risiedere per dei periodi brevi e lunghi aiutando i monaci nelle loro necessità (come quella di cucinare in quanto loro non possono svolgere questa attività in maniera indipendente) e nelle loro attività quotidiane (come ad esempio mantenere in ordine il meraviglioso giardino in cui è immersa la proprietà).
Ebbene sì, sono riuscita a confermare la mia partecipazione ed eccomi pronta, quella mattina, a partire prima dell’alba per paura di fare tardi. Ero emozionata anzi doppiamente emozionata, per la visita a un carcere che non conoscevo, anche se sapevo che ad accogliermi e guidarmi ci sarebbero state le ‘padrone’ di casa Elena e Giulia, ed emozionata anche per l’occasione di poter ricevere un insegnamento da un maestro che stimo molto.
Ed è stato proprio come rivedere un vecchio amico che non vedi da tanto ma con cui non serve dire più di due parole per capirsi subito, perché si parla la stessa lingua. E la lingua è il Dhamma, che il venerabile è riuscito a trasmettere con la sua ironia e profondità, usando parole semplici ma ricche di significato, facendo emozionare le persone che lo ascoltavano e dando esempi concreti e pieni di speranza, portando il suo esempio a donandolo a tutti senza riserve.
Mi risuonano ancora le parole di risposta a una condivisione di un detenuto, che anch’esso nel sentirsi accolto da un amico si è sentito di confidare la sua lotta quotidiana con le avversità e i suoi demoni, e a cui il Venerabile Mahāpañño si è sentito di rispondere mostrando grande empatia e sostegno: “Quando ti senti smarrito e in difficoltà pensa che hai cinque monaci che fanno il tifo per te”.
Sì, perché a volte non servono tante parole ma sapere che c’è qualcuno lì pronto per te, pronto ad ascoltarti senza darti soluzioni, ma pronto a supportarti quando ti sembra di non potercela fare da solo.
E questo è il messaggio che porto via da questo bellissimo incontro: che nel nostro cammino ci sono tanti compagni pronti a sostenerci, che parlano la nostra lingua e con i quali non servono mille parole. Il solo stare assieme può supportarci davanti alle difficoltà che la vita ci riserva, e il Venerabile Mahāpañño è uno di questi amici.
Grazie all’associazione che ha dato modo a me di rivedere questo amico e di poter essere testimone di condivisioni piene di speranza e fiducia da parte dei detenuti del carcere di Monza.