Abbiamo scelto questa interessante ricerca pubblicata su Frontiers perché, sebbene lasci ancora ampi margini di esplorazione a ulteriori ricerche, ci tocca anche nella mera enunciazione del tema. Spesso ci capita di sottolineare la costellazione di dolore che accompagna la restrizione di una persona in carcere: c’è quello della vittima innanzitutto e dei suoi affetti, quello della persona che perde la libertà per il reato commesso e quello della sua famiglia che, non in pochi casi, esce toccata profondamente e in modo negativo da questa esperienza. Al centro di questa sofferenza ci sono i bambini, che sembra impresa impossibile proteggerli del tutto. In questa ricerca si considera in particolare la loro capacità di riconoscimento delle emozioni come segnale, tra altri possibili, di disagio.
Quanto riportato su Frontiers è molto dettagliato e il suggerimento è di dare uno sguardo all’intero lavoro di cui, di seguito, si riporta la sintesi.
Circa cinque milioni di bambini negli Stati Uniti hanno vissuto la detenzione di un genitore. La carcerazione dei genitori è associata a molteplici fattori di rischio di disadattamento, che possono contribuire ad aumentare la probabilità di problemi comportamentali nei bambini.
Pochi studi hanno esaminato i primi predittori di disadattamento tra i bambini con genitori detenuti, limitando la comprensione degli studiosi sui potenziali punti di prevenzione e intervento.
Le capacità di riconoscimento delle emozioni possono svolgere un ruolo nello sviluppo del disadattamento e possono essere suscettibili di intervento.
Il presente studio ha esaminato se le capacità di riconoscimento delle emozioni differivano tra i bambini di età compresa tra 3 e 8 anni con e senza genitori detenuti. Abbiamo ipotizzato che i bambini con genitori in carcere avrebbero un bias negativo nell’elaborazione delle emozioni e una minore accuratezza rispetto ai bambini senza genitori detenuti.
I dati sono stati tratti da 128 famiglie, inclusi 75 bambini (53,3% maschi, M = 5,37 anni) con genitori detenuti e 53 bambini (39,6% maschi, M = 5,02 anni) senza genitori in carcere.
I caregiver in entrambi i campioni hanno fornito informazioni demografiche. I bambini hanno eseguito un compito di riconoscimento delle emozioni in cui è stato chiesto loro di produrre un’etichetta per le foto che esprimevano sei diverse emozioni (felice, sorpreso, neutrale, triste, arrabbiato e pauroso).
Per il punteggio, è stato sommato il numero di etichette positive e negative; è stato sommato il numero di etichette negative fornite per stimoli neutri e positivi (misurazione del bias negativo/sovraestensione delle etichette negative); e sono state calcolate l’accuratezza della valenza (vale a dire positiva, negativa e neutra) e l’accuratezza dell’etichetta.
I risultati hanno indicato un effetto principale della detenzione dei genitori sul numero di etichette positive fornite; i bambini con genitori detenuti presentavano significativamente meno emozioni positive rispetto al gruppo di controllo. È stato riscontrato anche un effetto principale della carcerazione dei genitori sui pregiudizi negativi (la sovraestensione delle etichette negative): i bambini con genitori detenuti avevano un pregiudizio negativo rispetto ai bambini senza genitori detenuti. Tuttavia, questi risultati non sono validi quando si controlla l’età del bambino, l’etnia, la ricezione di servizi educativi speciali e l’istruzione del caregiver.
I risultati forniscono alcune prove dell’effetto del contesto di carcerazione dei genitori nello sviluppo di pregiudizi nel riconoscimento delle emozioni negative. Vengono discussi i limiti e le implicazioni per la ricerca e gli interventi futuri.
[Fonte Frontiers Comparing Emotion Recognition Skills among Children with and without Jailed Parents di Lauren A. Hindt, Laurel Davis, Erin C. Schubert, Julie Poehlmann-Tynan, Rebecca J. Shlafer]