Generalmente in questa rubrica condividiamo storie individuali o collettive di persone che, una volta tornate libere, hanno dato una svolta netta alla loro vita. Spesso parliamo di lavoro che magari inizia dal carcere per svilupparsi ulteriormente dopo.
Oggi, grazie alle voci di Andreana e Francesco, entrambi attivi con gruppi in reparti di alta sicurezza, vogliamo andare all’origine di ciò che spesso poi permette di volare. Andiamo là dove forse alcune intuizioni sorgono e alimentano motivazioni potenti. Certi slanci arrivano certamente quando ci sono le condizioni, grazie a riflessioni intime e profonde ma spesso, e non crediamo sia un caso, l’elemento culturale, di conoscenza, studio e…scoperta dà un contributo potente.
E allora oggi volevamo guardare le cose dal punto in cui le grandi storie di riscatto nascono. Grazie Andreana e Francesco per le vostre condivisioni.

Andreana
Nell’istituto dove opero io, durante gli incontri, caldeggio la partecipazione delle persone all’attività scolastica e universitaria, perché ritengo che la formazione sia importante anche per la crescita personale. Nel mio gruppo, attualmente di 11 partecipanti, ci sono studenti universitari e di scuola superiore (istituto alberghiero). Gli universitari sono quasi tutti iscritti all’Università di Pisa, mentre una persona sta per laurearsi in Scienze dell’educazione presso l’Università di Parma.
I motivi che portano una persona detenuta in alta sicurezza a frequentare l’Università possono essere molteplici, ma ciò che più conta (per me) è il fatto che, durante il percorso, si accorgono di come cambia la loro percezione del mondo man mano che la loro conoscenza si amplia.
Uno di loro mi dice spesso che lui non è più quello di tanto tempo fa, che tutto questo lo deve ai percorsi che negli anni ha fatto e frequentato. Più di altro considera il percorso iniziato a Parma con un progetto della facoltà di sociologia e lo spazio di consapevolezza iniziato qui a Livorno.
Trovo sia molto bello che lui provi gratitudine verso un professore che a Parma gli suggerì di iscriversi all’Università; questo mi porta a dire che il docente, il tutore, la guida, l’istruttore o qualsiasi altra guida, abbia un ruolo importante nell’aiutare una persona a trovare un modo per vivere la propria detenzione in modo più costruttivo.

Un altro partecipante, giovane, ha iniziato da poco un percorso di filosofia e mi sono commossa quando, nel raccontarmi dei suoi studi, i suoi occhi si sono accesi di gioia e mi ha detto: “È bellissimo!”. Non serve aggiungere altro.

Penso che lo spazio di consapevolezza che offriamo come associazione aiuti anche in questo: prendere contatto con sé stessi, con le risorse che si hanno a disposizione, a comprendere cosa è importante per sé stessi nel momento presente e oltre …
Ogni bene.

Francesco
Durante il nostro percorso di meditazione e consapevolezza, ho avuto il privilegio di incontrare G., una persona detenuta in un carcere di alta sicurezza, che ha saputo trasformare le difficoltà del carcere in opportunità di crescita personale.

G. mi ha raccontato come il periodo di detenzione gli abbia offerto la possibilità di dedicarsi allo studio. Con grande determinazione, ha conseguito la licenza media ottenendo risultati eccellenti e ora sta proseguendo il suo percorso educativo frequentando il liceo.
Ciò che mi ha colpito profondamente è stata la sua scelta di intraprendere anche un cammino di meditazione e consapevolezza. G. ha capito quanto sia importante prendersi cura della propria mente e desidera trasmettere questa consapevolezza ai suoi figli piccoli. Vuole insegnare loro l’importanza della meditazione e della cura di sé, per offrire loro strumenti preziosi per affrontare le difficoltà della vita.
Sentire la storia di G. mi ha commosso perché rappresenta un esempio concreto di come il carcere, nonostante le avversità, possa diventare un’opportunità per fermarsi, riflettere su di sé e familiarizzare con i propri stati mentali afflittivi. Con il giusto supporto, è possibile sviluppare gli strumenti necessari per evitare di ripetere gli stessi errori.

Sono stato profondamente toccato nel vedere come il pensiero di G. sia costantemente rivolto alla sua famiglia, ai suoi figli. Nonostante tutto, il suo impegno è volto a garantire loro un futuro migliore, lontano dalle difficoltà che lui stesso ha vissuto. La sua testimonianza è un potente promemoria del potere della resilienza e della trasformazione personale.

Una delle sue condivisioni che più mi ha emozionato è stata questa: “La vera prigione non è quella fisica; la vera prigione è all’interno della nostra mente.”