Siamo a Bollate. Sabrina ci racconta una sua esperienza come operatrice.
“R. arriva nel gruppo un anno fa, con la sua storia che sa di vanto quanto di vergogna, di giustizia quanto di ingiustizia, parla di forza e insieme fragilità. Una storia che ora sa anche di desiderio di tregua e del bisogno di esprimere tutta la rabbia che si prova…ma che, per lui, R., rabbia non è! Rabbia non può essere…nemmeno pronunciata.
Sì, la rabbia non è un’emozione che riconosce ma, senza rendersene conto, la esprime con l’atteggiamento, l’irruenza verbale, lo sguardo giudicante e la sua perpetua denuncia di essere una vittima: del sistema, delle persone che ogni giorno incontra nei corridoi, si sente vittima della vita stessa. “La mia non è rabbia…è fastidio, è stanchezza, è delusione ma non rabbia!”.
Gli altri lo guardano, mi guardano. Loro quella rabbia la sentono ma lasciano che possa esprimersi senza giudicarlo, in fondo rispettosi del suo bisogno di riconoscersi in “altro”.
R. è sempre presente agli incontri, arriva per primo, sistema le sedie in cerchio e, se qualcuno non arriva puntuale, va a cercarlo. Continua a esprimere ciò che vive e che sente ma, incontro dopo incontro, si mette in ascolto, accoglie le esperienze degli altri partecipanti e, allo stesso tempo, ascolta i suoi pensieri, i suoi intimi cambiamenti che però dice: “Non sono cambiamenti! Sono modifiche, variazioni, non cambiamenti”.
R. è l’uomo delle parole “inaccettabili”. Ci sono parole nelle quali non si riconosce ma che, a distanza di un anno, durante il quale ha coltivato l’ascolto degli altri e di sé; un anno in cui ha deciso di comprendere piuttosto che giudicare e sentirsi giudicato.
Scrive: “Le mie fatiche sono molte, cercare di star bene con me stesso non è sempre facile ma sicuramente il mio comportamento e i modi si sono modificati. Sì, credo di stare anche meglio con me e di conseguenza mi sembra di stare meglio anche con le altre persone”. E ancora: “Sicuramente devo continuare il mio percorso perché mi sto rendendo conto che la vita è molto dura, che c’è sofferenza, c’è da mettersi in discussione per raggiungere una meta. È quasi come tornare bambino con qualcuno che ti possa insegnare a vivere nel bene, nonostante le difficoltà del momento e della vita in generale.”
R., ai colloqui, si è sentito dire dalla mamma: “Non ti riconosco più…sei così cambiato, sei più calmo!”.
E mentre mi riporta queste semplici parole, si commuove.
Piccoli, lenti, faticosi, camb…“modificazioni” (non vorrei far arrabbiare R.). Potrebbero essere temporanei, magari limitati alla vita detentiva, forse non sempre consapevoli, ma osservarli è per me un privilegio e un segno di fiducia in un cammino di crescita reciproca che coinvolge chi lo vive e contagia tutti coloro che, insieme a lui, affrontano un percorso, fatto di piccoli passi verso la consapevolezza.
Il mio auspicio, come operatrice, è che questi lenti passi aiutino anche a guardare con sempre maggiore lucidità, presenza e senso di responsabilità ai reati commessi. Auguro a ognuno che l’ingrediente della saggezza viaggi con quello della compassione: verso le vittime innanzitutto e anche verso di sé”.
A questa bella testimonianza si aggiunge l’ulteriore espansione delle attività con la nostra Lisa Favalli che il 29 giugno ha potuto avviare un nuovo gruppo di consapevolezza nel carcere di Volterra. Tantissima buona energia da tutti noi a Lisa: la tua stessa gentilezza sarà un esempio magnifico!